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- di Adriana Spera
Il voto di domenica prossima sembra quasi un flashback, perché ricorda a chi scrive che nel 1975 fu tra i primi diciottenni a votare alle elezioni.
Il voto di domenica prossima sembra quasi un flashback, perché ricorda a chi scrive che nel 1975 fu tra i primi diciottenni a votare alle elezioni.
Stai a vedere che la notizia del giorno è che abbiamo esportato un sacco di roba nel 2017, mi dico, osservando l’ultima release Istat sul commercio estero, prima di essere distratto da una notizia succulenta arrivata dall’estero.
L’abbrutimento del nostro dibattito pubblico, già carente di suo, tocca un apice sensazionale quando leggo che il nostro beneamato gentilissimo premier ha annunciato che taglierà il canone televisivo a 350 mila ultra 75enni con reddito inferiore agli 8 mila euro l’anno, mostrando di ignorare la geografia anagrafica della distribuzione del denaro in Italia,
Nel rivedere il paniere dei prodotti su cui è calcolata l’inflazione, l’Istat ha ritenuto di escludere a partire dal 2018 il canone Rai, nel presupposto che, come riporta il comunicato dell’Istat, “le normative hanno assimilato a una tassa da pagare attraverso la bolletta elettrica e non più legata all’acquisto di un servizio (e come tale, quindi, non ricompresa nel dominio di riferimento dei consumi delle famiglie)”.
Se non ci fosse da piangere, ci sarebbe da ridere. E sì, proprio così, dopo aver letto il testo dell’ipotesi di accordo per il rinnovo del contratto (184 pagine) per il triennio 2016-2018, dei lavoratori del comparto Scuola e Ricerca - che comprende anche Università (esclusi docenti e ricercatori), Aziende ospedaliero-universitarie e Afam (Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica) - sottoscritto da Aran, Cgil, Cisl e Uil, lo scorso 9 febbraio, alle 7:45 del mattino, dopo una riunione non-stop (sic!), iniziata alla 14:30 del giorno precedente.
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