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- di Roberto Tomei
Un decreto direttoriale del Miur, emanato il 9 agosto scorso, ha ufficialmente dato il via ad una nuova tornata di Abilitazione scientifica nazionale a professore di I e II fascia, da effettuarsi nel triennio 2018-2020.
Un decreto direttoriale del Miur, emanato il 9 agosto scorso, ha ufficialmente dato il via ad una nuova tornata di Abilitazione scientifica nazionale a professore di I e II fascia, da effettuarsi nel triennio 2018-2020.
Dovendo discorrere di disruption, il migliore esordio possibile, almeno relativamente al lato economico, ce lo offre l’Ocse che ha pubblicato di recente il suo outlook su business e finanza, andando proprio a guardare nelle zone oscure dove si annidano alcuni rischi di rottura del fragile equilibrio lungo il quale si articola la nostra quotidianità. Zone assai ampie, peraltro. Basta scorrere rapidamente il sommario del primo capitolo della pubblicazione per farsene un’idea.
Con un avviso apparso sul proprio sito web, il ministero della pubblica amministrazione ha comunicato che “La Corte dei conti, Sezione centrale di controllo di legittimità su atti del Governo e delle amministrazioni dello Stato, nell’adunanza del 7 agosto 2018, ha deliberato di “ricusare il visto e la conseguente registrazione” alla circolare n. 2 dell’8 maggio 2018 del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione e del Ministro dell’economia delle finanze concernente “Chiarimenti in merito alle circolari del 23 novembre 2017, n. 3 e del 9 gennaio 2018, n. 1 del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione in materia di superamento del precariato. Riflessi sui fondi destinati alla contrattazione integrativa”.
Dieci anni sono passati da quel drammatico 2008 che segnò la fine di un’epoca e proiettò sul mondo l’ombra inquietante di una seconda Grande Depressione, peggiore persino della prima. Abbiamo avuto in cambio una Grande Crisi Finanziaria (GCF), come ci ricorda la Banca dei regolamenti internazionali di Basilea nella sua ultima relazione annuale. E dobbiamo pure farcela piacere, consolandoci con l’idea che avremmo potuto uscirne assai più malconci, e senza badare al conto, che è stato salatissimo. Già. Perché l’esito più eclatante della GCF, nata e cresciuta e poi esplosa a causa del livello elevato dei debiti (privati), è che il debito, dieci anni dopo, è aumentato.
Con sentenza n.7085/2018, del 25 giugno scorso, la III Sezione del Tar Lazio ha deciso, accogliendolo, il ricorso proposto dall’interessato preordinato ad ottenere l’annullamento del giudizio collegiale espresso nei suoi confronti dalla Commissione per l’abilitazione scientifica nazionale a professore universitario di prima fascia (settore concorsuale 11/D2 – Didattica, pedagogia speciale e ricerca educativa, di cui al Bando D.D. 1532/2016) e pubblicato sul portale internet il 30 marzo 2018.
Chi pensava che nel mondo del diritto esistessero fattispecie più complesse da decifrare si è sbagliato di grosso: quella delle “attività esterne dei docenti dell’Università” - di cui Il Foglietto si è già occupato - le batte tutte, sicché a sbrogliare l’intricata matassa è dovuta intervenire direttamente e in prima persona la (oggi, ormai, ex) ministra Fedeli con il suo ultimo Atto di indirizzo.
Il Miur ha trasmesso nei giorni scorsi alla Camera dei Deputati lo Schema di decreto ministeriale per il riparto del Fondo ordinario (Foe) 2018 per gli enti e le istituzioni di ricerca vigilati dallo stesso Miur.
Nel contratto di governo tra Movimento 5 stelle e Lega è presente l’impegno a dare “fin da subito la possibilità di uscire dal lavoro quando la somma dell’età e degli anni di contributi del lavoratore è almeno pari a 100, con l’obiettivo di consentire il raggiungimento dell’età pensionabile con 41 anni di anzianità contributiva, tenuto altresì conto dei lavoratori impegnati in mansioni usuranti”.
Un nuovo studio, coordinato da Raffaele Sardella e Dawid Adam Iurino del Dipartimento di Scienze della Terra della Sapienza con l’Università di Perugia e in collaborazione con l’ESRF di Grenoble e l’Università di Verona, ha permesso di rivelare, a partire da un frammento di cranio fossile, l’identikit di un ghepardo gigante. Si tratta di uno dei più feroci predatori che i primi uomini entrati in Europa hanno dovuto fronteggiare un milione e mezzo di anni fa.
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