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- di Roberto Tomei
C’era una volta “la questione meridionale”, sulla quale sono stati versati fiumi d’inchiostro, talora da scrittori di cui abbiamo apprezzato, oltre l’impegno sociale e la testimonianza civile, anche le doti letterarie.
C’era una volta “la questione meridionale”, sulla quale sono stati versati fiumi d’inchiostro, talora da scrittori di cui abbiamo apprezzato, oltre l’impegno sociale e la testimonianza civile, anche le doti letterarie.
Chi legge con assiduità Il Foglietto ha certamente notato che quello della Costituzione è uno degli argomenti che ci stanno più a cuore.
Mentre sfoglio curioso il volume dell’ultimo Def del governo, dalla Banca d’Italia arriva l’ultimo bollettino che fotografa l’andamento dell’economia e tira le somme del 2014.
E’ bastata l’approvazione di un emendamento (primo firmatario, Bocchino), in occasione della discussione al Senato sul disegno di legge di riordino della pubblica amministrazione, per far intravedere in taluni una sorta di svolta epocale per ricercatori e tecnologi degli enti pubblici di ricerca.
Sempre perché è utile ricordare che una medaglia ha due facce, quando vi dicono che il calo del petrolio fa bene all’economia, ricordatevi che fa male all’altra metà del cielo, ossia alla finanza.
E’ tempo di confronti e di ritorni. Ma mentre questi sono veri, quelli sono soltanto apparenti.
Quest’epoca verrà ricordata, quando scriveranno la storia, come quella in cui le banche centrali hanno di fatto scritto l’agenda della politica. Ma sarebbe poca cosa notarlo se, a fronte di questa inusitata deriva finanziaria, non si mettesse in evidenza il costo che tali politiche ha accompagnato, che rimane sospeso sulle nostre teste insieme alle sue conseguenze sociali.
Alla confusione siamo abituati, ma in questi ultimi giorni si è esagerato. Stiamo al dichiarato, tanto linee guida e slide, che manco ci sono, comunque non valgono di più. C’è chi dice che nel Def non c’è un euro per il pubblico impiego e che il blocco dei contratti si protrarrà fino al 2019, ma qualcun altro subito dopo si affretta a sostenere il contrario, cioè che c’è speranza di riaprire la contrattazione nel 2016.
Poco importa che non sia trascorso nemmeno un lustro dalla riforma Gelmini. Del resto, a un governo, come l’attuale, che sta per cambiare un terzo della Costituzione, non fa certo impressione riformare l’università e la ricerca.
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