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- di Maurizio Sgroi
A volte, poche parole bastano ad esprimere verità profonde. E quando la Bis, in un approfondimento dedicato agli effetti dei dazi su commercio - contenuto nella sua relazione annuale, molto utile da leggere in giorni che si torna a parlare di dazi, scrive che “le critiche comuni al commercio globale sono spesso prive di fondamento” - dice tutto quello che c’è da sapere sul nostro tempo.

Si è detto molto e molto si è scritto delle ragioni che hanno fortemente indebolito il dollaro, dopo l’annuncio dei dazi dell’amministrazione Usa, individuando nella perdita di fiducia nei confronti della valuta statunitense il principale canale di trasmissione della crisi.
Possiamo farci un’idea abbastanza chiara di cosa rischino le famiglie americane da un crack di borsa, sfiorato dopo il disgraziatissimo annuncio del 2 aprile scorso sulle tariffe, osservando che la quota di titoli azionari sul totale degli asset detenuti non è mai stata così alta negli ultimi sessant’anni.
Quando si legge dei rischi del debito statunitense, di recente al centro dell’attenzione non proprio benevola delle agenzie di rating, si dovrebbe sempre ricordare che oltre a quelli squisitamente macroeconomici, quindi connessi alla sostenibilità di questo debito, se ne annidano altri meno comprensibili e decisamente difficili da osservare per il grande pubblico, come quello messo in evidenza nell’ultimo rapporto sulla stabilità finanziaria del Fmi, icasticamente rappresentato dal grafico in basso.
Una frase fra le tante, infilate in un
