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- di Luca Marchetti
Oldboy di Spike Lee, con Josh Brolin, Samuel L. Jackson, Sharlto Copley, Elizabeth Olsen, Michael Imperioli, James Ransone, Max Casella, durata 104’, nelle sale dal 5 dicembre 2013 distribuito da Universal Pictures
Recensione di Luca Marchetti
La sfida di dirigere il remake americano di un classico contemporaneo come Oldboy del sudcoreano Park Chan-wook (vincitore del Gran Premio della Giuria a Cannes 2004) era, davvero, ai limiti del possibile. In questo caso non stiamo parlando di una sconosciuta pellicola orientale, popolare solo a un pubblico ricercato e snob, ma di un vero cult, una delle opere cinematografiche più rilevanti e importanti del passato decennio. Il coraggio di Spike Lee di mettersi in gioco (Spielberg, il primo regista contattato, se n’è ben guardato) è dunque da premiare, nonostante il risultato finale sia una pellicola in fin dei conti dimenticabile.
Il film paga, appunto, il peccato di dipendere troppo dall'originale, un’opera che in molti abbiamo imparato a conoscere e amare. Per chi, come chi scrive, la pellicola di Park è un punto di riferimento, quest’operazione commerciale non potrà mai avere alcun senso, nonostante le scelte registiche e le variazioni narrative (il finale) fatte per rendere la storia accettabile per un vasto pubblico americano.
Solo chi arriverà puro alla visione del film potrà davvero apprezzare a pieno la pellicola di Lee, godendosi tutta la sua forza devastante. Solo in questo modo, ad esempio, si potranno gustare le sofferte performance degli attori protagonisti. Josh Brolin e una sempre più convincente Elizabeth Olsen (già lanciata dal destabilizzante La fuga di Martha), infatti, fanno propria la storia regalando allo spettatore due interpretazioni viscerali. Soprattutto il protagonista, attore eccessivamente sottovalutato nel panorama hollywoodiano contemporaneo, si concede totalmente alla mano di Lee, annullandosi nell’infernale evoluzione morale del suo personaggio. Altri commenti meritano le comparsate (davvero pochi minuti per loro) dei comprimari Sharlto Copley (caratterista sudafricano abituato a ruoli ambigui) e Samuel L. Jackson (sorprendente la sua collaborazione con Lee, nonostante, il litigio piccato che ha visto coinvolto anche Quentin Tarantino) che sono, ahinoi, caricaturali, destinate solo a colorare lo sfondo.
La regia di Lee, invece, ha il buon gusto di adattarsi allo script del buon mestierante Mark Protosevich (Thor, Io sono Leggenda) e di puntare su idee poco invadenti ma dall’impatto visivo notevole (tutte le scene ambientate nella stanza/prigione). E’ un peccato che quando arrivi il momento di prendere una strada opposta alla pellicola di Park (si veda la leggendaria scena del combattimento con il martello) il regista americano piuttosto che attingere al proprio immaginario preferisca presentarsi con una ripetitiva e scialba brutta copia.
Alla luce di ciò, il nuovo Oldboy non può sfuggire dall’etichetta di ”operazione inutile”, figlia dell’incapacità hollywoodiana di puntare su concept e storie originali. Anche cosi, però il film di Spike Lee riesce a conservare un minimo del fascino e della forza dell’originale, guadagnandosi la dignità di essere visto. A patto, sia chiaro, che non si voglia, per qualche assurdo motivo, recuperare in qualche modo il film di Park.