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- di Rocco Tritto
Con sentenza n. 10076/2024, pubblicata lo scorso 8 marzo, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto da un dipendente comunale avverso la decisione della Corte di Appello di Napoli, che aveva dichiarato di non doversi procedere nei confronti del medesimo dipendente per sopravvenuta prescrizione del reato ascrittogli (falsa attestazione della presenza in ufficio con mezzi fraudolenti), con condanna al pagamento delle spese di giustizia a favore della parte civile.

Con ordinanza n. 4640/2024, pubblicata lo scorso 21 febbraio, la Corte di cassazione – sezione Lavoro – ha accolto il ricorso proposto da una insegnante, dispensata dal servizio per motivi di salute dall’Amministrazione di appartenenza, nei confronti della quale il Ministero dell’economia e delle finanze aveva disposto il recupero di somme stipendiali indebitamente percepite.
“In materia di pubblico impiego, ove il dipendente venga assegnato a svolgere le mansioni proprie di una posizione organizzativa, previamente istituita dall’ente, e ne assuma tutte le connesse responsabilità, la mancanza o l’illegittimità del provvedimento di formale di attribuzione non esclude il diritto a percepire l’intero trattamento economico corrispondente alle mansioni di fatto espletate, ivi compreso quello di carattere accessorio, che è diretto a commisurare l’entità della retribuzione alla qualità della prestazione resa”.
Come noto, il termine straining (dal verbo inglese “to strain”, mettere sotto pressione, stressare) identifica uno stato in cui viene a trovarsi il lavoratore a seguito di comportamento ostile o stressante posto in essere volontariamente dal datore di lavoro o, comunque, da un superiore gerarchico.
Assente per malattia sul posto di lavoro per una settimana, un dipendente, a seguito di indagine effettuata da un’agenzia investigativa per conto del datore di lavoro, risultava aver prestato per due giorni, durante il periodo di infermità, attività lavorativa presso l’esercizio commerciale della propria coniuge.
