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- di Rocco Tritto
Con sentenza n. 23295/2023, depositata in data odierna, la Corte di cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze n. 21/2020, di conferma della decisione del Tribunale di Arezzo, che aveva ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa adottato dal datore di lavoro nei confronti di un dipendente per aver tenuto nei confronti di una giovane collega “comportamenti consistenti in allusioni verbali e fisiche a sfondo sessuale”, denunciati in due diverse occasioni dalla lavoratrice alla direzione aziendale.

Niente da fare per un dipendente che si è visto confermare anche in Cassazione il licenziamento inflittogli dall’Amministrazione di appartenenza per aver attestato falsamente la presenza in servizio, nel periodo da aprile e maggio 2018, del suo superiore gerarchico, utilizzando il badge del medesimo superiore.
Con sentenza n. 18518/23, pubblicata ieri, 28 giugno 2023, la sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha respinto il ricorso – proposto da un dipendente già in servizio come autista presso Atac spa, azienda interamente posseduta da Roma Capitale, che gestisce il trasporto pubblico a Roma – avverso la decisione n.607/20 della Corte d’appello di Roma, che aveva accolto il reclamo presentato dall’Azienda stessa contro la sentenza n.5956/19 del Giudice del Lavoro di Roma, che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento del dipendente medesimo, ordinandone la reintegra in servizio.
Con ordinanza n.17643/23, depositata il 20 giugno 2023, la sezione Lavoro della Corte di cassazione ha respinto il ricorso proposto da un ente pubblico avverso la sentenza della Corte di appello di Milano n. 428/2016, che aveva confermato, seppure in parte, la decisione del Tribunale del capoluogo lombardo che aveva dichiarato il diritto della ricorrente, dipendente pubblica cessata dal servizio per dimissioni, alla monetizzazione delle ferie non godute per un numero di 124 giorni (anziché dei 248 richiesti), con l’ultima retribuzione giornaliera in godimento ed al compenso incentivante.
Con sentenza n. 17897/2023, depositata in data odierna, la Sezione lavoro della Corte di cassazione, ha respinto il ricorso proposto contro il Ministero dell’Istruzione (già Miur) da una docente avverso la sentenza della Corte di appello che, in riforma della sentenza di primo grado, aveva accolto l’impugnazione del Ministero, con conseguente rigetto della domanda della medesima docente, ritenendo legittimo il provvedimento di dispensa dal servizio, ai sensi dell’art.512 del d.lgs. 297 del 1994.
